LE FOTO DI FULVIO  SANTONI

 


Quando vidi per la prima volta le foto di Fulvio Santoni, mi colpì immediatamente una fantasmagoria di colori, di linee, di segni corsari che mi fecero pensare a Paul Klee, a Mondrian, a Kandinsky , capaci di rapire l’eterno movimento dell’esistere, di cogliere il momento miracoloso in cui la natura diventa artefice del rispecchiamento delle cose, riesce a riportare alla radice stessa del bello ogni forma, ogni oggetto. Non a caso tutte le opere di Fulvio sono pagine di un grande racconto che rimanda a uno dei topoi della letteratura di ogni tempo, dall’inizio ai giorni nostri, da Omero a Melville a Conrad a D’Annunzio a Montale: le acque, il mare.
L’artista ha documentato i riflessi, le geometrie, le proiezioni  delle “cose”, palazzi, hangar, chiglie delle barche, nei fiumi, nei laghi  (Como), nei canali, nei porti, nelle darsene (Venezia, Viareggio, Livorno). Proprio per questo, l’effetto visivo è simile a quello che suscitano le tavole ottiche che, se viste da lontano sono solo fluidità cromatica, ma da vicino e mediante concentrazione, rivelano interi mondi ricchi di fecondità espressiva e di significato.
Le onde morbide e arricciate delle fotografie di Fulvio Santoni riproducono situazioni concettuali che rimandano al mito della meraviglia e dello stupore della divinità di fronte alla sfida dell’uomo nei confronti dello stesso concetto di limite: Poseidon che contempla con ammirazione preoccupata la chiglia della prima nave costruita dall’uomo per prendere possesso, per espandersi nel suo regno salino.
La bidimensionalità della tela, messa in discussione dalla prospettiva e dal disperato e geniale colpo di rasoio di Fontana teso a mettere in rapporto le due realtà della vita, sono dietro l’intuizione dell’artista che ci fa vedere e sentire l’abisso, il pozzo del profondo sotto la modulazione delle scaglie del mare e delle acque, con i pennoni e gli alberi delle barche a perdersi, attraverso il tremore senza fine, nell’imo della materia.
L’alchimia dei colori delle foto è tale che lo sguardo necessariamente spazia attraverso una metamorfosi continua: la luce, che scrive e disegna sulla levigata superficie, dà vita a forme che comunicano con noi come fanno le nubi, i cumuli. Compaiono improvvisamente, grazie alla complicità, all’interazione tra la trasparenza profonda delle acque, la luce che si addormenta sulla superficie e l’occhio polilogo di Fulvio Santoni, figure, trasfigurazioni, satiri, ondine, donne e uomini pronti a scomparire se guardati da un’altra angolazione.
L’enorme quantità di materiale nasce da un lavoro costruito in un lungo intervallo di tempo: dagli anni '80 ad oggi e lungo un territorio variegato e vastissimo: dalle coste italiane, alle isole, alla Grecia.
Un’aggiunta a quanto ho scritto rigorosamente sulla base delle prime impressioni legate alla mostra: nel mese di dicembre 2011, ho avuto il privilegio di passare un pomeriggio nel casolare dove Fulvio vive da vent’anni. Il luogo è struggente: Volterra è in alto, come una nave all’attracco, le colline, già senesi per forme e varietà, piene di impeto vitale, sembrano slanciarsi verso il mare Etrusco e, ai lati, i paesini e le rocche sembrano partoriti dalle sabbie; e il silenzio, per dirla con le parole di un grande poeta, è sussurrato dal vento. In questa cornice, ho potuto vedere altre opere dell’artista: quadri di ascendenza iperrealista, opere legate alla sperimentazione astrattista e concettuale: bene, la coincidenza tra  questi lavori e la successiva attività fotografica sono davvero impressionanti.

 

Daniele Luti